
22 settembre, venerdì – Da martedì 19 settembre 2023, il Nagorno-Karabakh, una regione montuosa del Caucaso meridionale, riconosciuta a livello internazionale come parte dell’Azerbaigian, ma controllata de facto da separatisti armeni dal 1991, è sotto il fuoco dell’offensiva militare di Baku. L’Azerbaigian, sostenuto dalla Turchia e da Israele, ha lanciato un’operazione “antiterrorismo” per “ripristinare l’ordine costituzionale” e riconquistare il territorio che rivendica da trent’anni. L’Armenia, invece, ha denunciato un tentativo di “pulizia etnica” e un “crimine contro l’umanità” nei confronti della popolazione civile del Nagorno-Karabakh.
La regione, abitata da circa 100 mila armeni, ha dichiarato la propria indipendenza dall’Azerbaigian in seguito al crollo dell’Unione Sovietica, scatenando due guerre con Baku in trent’anni. La prima guerra, tra il 1988 e il 1994, ha causato circa 30 mila morti e un milione di sfollati. La seconda guerra, tra il settembre e il novembre 2020, ha provocato oltre 6 mila morti e ha portato alla firma di un accordo di cessate il fuoco mediato dalla Russia. L’accordo prevedeva il ritiro delle forze armene da alcuni distretti attorno al Nagorno-Karabakh e il dispiegamento di 1960 soldati di pace russi nella regione.
Tuttavia, l’accordo non ha risolto la questione dello status del Nagorno-Karabakh, che rimane conteso tra le due parti. L’Azerbaigian non riconosce l’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh, come si chiama il Nagorno-Karabakh tra gli armeni, e considera la presenza russa come una violazione della propria sovranità. L’Armenia, invece, sostiene il diritto all’autodeterminazione degli armeni del Nagorno-Karabakh e chiede il riconoscimento internazionale della loro repubblica.
La situazione è precipitata martedì, quando le forze azere hanno sfondato le linee armene e hanno occupato posizioni strategiche nel Nagorno-Karabakh. Gli armeni del Karabakh si sono arresi nel giro di una giornata, sperando di evitare un disastro umanitario. Il presidente dell’Artsakh, Arayik Harutyunyan, ha dichiarato che la decisione è stata presa per “salvare la vita dei nostri soldati e dei nostri civili” e ha chiesto alla popolazione di “non perdere la speranza”.
La reazione della comunità internazionale è stata debole e tardiva. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno espresso preoccupazione per l’escalation della violenza nel Nagorno-Karabakh e hanno chiesto un cessate il fuoco immediato e incondizionato. Entrambi hanno offerto la propria mediazione per facilitare il dialogo tra le parti e trovare una soluzione pacifica e duratura al conflitto. L’Italia, in particolare, ha proposto un incontro a Roma tra i ministri degli esteri di Armenia e Azerbaigian.
Tuttavia, nessuno di questi attori sembra avere una reale influenza sulle dinamiche del conflitto. L’Unione Europea è divisa tra i paesi che corteggiano l’Azerbaigian per le forniture di gas e quelli che simpatizzano per l’Armenia per motivi storici e religiosi. L’Italia ha buoni rapporti con entrambi i paesi, ma non ha una posizione chiara sullo status del Nagorno-Karabakh.
La Russia, che ha il ruolo di mediatrice e di garante della pace nella regione, si trova in una situazione delicata. Da un lato, ha un’alleanza militare con l’Armenia e una base militare nel paese. Dall’altro, ha interessi economici e strategici con l’Azerbaigian e non vuole inimicarsi la Turchia, che è un attore chiave nella regione. La Russia è anche molto impegnata in Ucraina, dove sostiene i separatisti filorussi contro il governo di Kiev. Il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che la Russia “farà tutto il possibile per fermare il bagno di sangue” nel Nagorno-Karabakh, ma ha anche aggiunto che la Russia “non può risolvere tutto da sola”.
La Turchia, invece, si è schierata apertamente a favore dell’Azerbaigian, fornendo supporto politico, militare e diplomatico a Baku. Ankara ha espresso la propria solidarietà con il “fratello” azero, condividendo la stessa origine etnica e religiosa (turca e musulmana), e ha condannato l’“occupazione illegale” del Nagorno-Karabakh da parte dell’Armenia. La Turchia ha anche inviato mercenari siriani a combattere al fianco delle forze azere, secondo alcune fonti. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha dichiarato che la Turchia “non lascerà mai solo l’Azerbaigian” e che “la vittoria sarà nostra”.
Israele, infine, è un altro alleato dell’Azerbaigian, con cui ha stretti legami commerciali e militari. Israele fornisce all’Azerbaigian armi sofisticate, tra cui droni e missili, e riceve in cambio petrolio e gas. Israele vede anche nell’Azerbaigian un partner strategico nella regione, vicino all’Iran e al confine con la Turchia. Israele non ha riconosciuto il genocidio armeno del 1915 e non ha rapporti diplomatici con l’Armenia.
Il mondo, quindi, sembra aver abbandonato il Nagorno-Karabakh, enclave di armeni in Azerbaijan, al suo destino. La regione è nel caos, tra violenze, sfollamenti e carenze umanitarie. Il futuro degli armeni del Karabakh è incerto e dipende dalla volontà delle parti in conflitto e dalla capacità della diplomazia internazionale di intervenire in modo efficace e tempestivo.