Una tregua fragile

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Dalle origini al Mandato Britannico: Alla fine del XIX secolo, la nascita del movimento sionista, che propugnava la creazione di uno stato ebraico in Palestina, si scontrò con il nascente nazionalismo arabo. Dopo la Prima Guerra Mondiale e la caduta dell’Impero Ottomano, la Palestina passò sotto il Mandato Britannico, un periodo caratterizzato da crescenti tensioni tra la comunità ebraica in crescita, alimentata dall’immigrazione, e la popolazione araba autoctona.

La nascita di Israele e la “Nakba”: Nel 1947, le Nazioni Unite proposero un piano di partizione della Palestina in due stati, uno ebraico e uno arabo, con Gerusalemme sotto amministrazione internazionale. Il piano fu accettato dalla leadership sionista ma respinto dai leader arabi. Il 14 maggio 1948, con la dichiarazione d’indipendenza dello Stato di Israele, scoppiò la prima guerra arabo-israeliana. La vittoria israeliana portò all’esodo di circa settecentomila palestinesi, un evento noto come la “Nakba” (la catastrofe).

Guerre e occupazione: La guerra dei Sei Giorni nel 1967 segnò un altro punto di svolta, con l’occupazione israeliana della Cisgiordania, della Striscia di Gaza, di Gerusalemme Est, delle alture del Golan e della penisola del Sinai. Da allora, l’occupazione militare e la costruzione di insediamenti israeliani nei territori palestinesi sono diventati uno dei nodi centrali del conflitto.

Il processo di pace e il suo fallimento: Gli Accordi di Oslo del 1993, con il riconoscimento reciproco tra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), accesero la speranza di una soluzione a due stati. Tuttavia, il processo di pace si arenò a causa di questioni irrisolte come lo status di Gerusalemme, il destino dei profughi palestinesi, i confini e la continua espansione degli insediamenti. La Seconda Intifada, una sollevazione palestinese scoppiata nel 2000, segnò il definitivo collasso del processo di pace.

Gli ultimi avvenimenti: un’escalation senza precedenti

L’attacco del 7 Ottobre 2023: Il 7 ottobre 2023, Hamas ha lanciato un attacco senza precedenti contro Israele, causando la morte di centinaia di civili e militari e prendendo in ostaggio numerose persone. Questo evento ha rappresentato un profondo shock per la società israeliana, minando il suo senso di sicurezza e portando a una risposta militare di vasta portata.

La risposta militare israeliana e la crisi umanitaria a Gaza: In risposta, Israele ha lanciato un’imponente operazione militare sulla Striscia di Gaza, con l’obiettivo dichiarato di smantellare le capacità militari e di governo di Hamas. I massicci bombardamenti e le operazioni di terra hanno causato un numero elevatissimo di vittime tra i civili palestinesi e una catastrofe umanitaria. La popolazione di Gaza si trova ad affrontare sfollamenti di massa, carenza di cibo, acqua, forniture mediche e la distruzione di infrastrutture vitali.

Tensioni regionali: Il conflitto ha innescato un’ondata di instabilità in tutta la regione. Si sono intensificati gli scontri in Cisgiordania e si è aperto un fronte di bassa intensità al confine tra Israele e Libano, con scambi di colpi quasi quotidiani tra le forze israeliane e Hezbollah, il potente gruppo sciita sostenuto dall’Iran.

Implicazioni e prospettive nel medio termine

Le conseguenze degli ultimi eventi sono profonde e delineano un futuro incerto e carico di sfide.

Per i palestinesi: La crisi umanitaria a Gaza è di proporzioni storiche. Oltre all’immane costo in termini di vite umane, la distruzione solleva interrogativi cruciali sul futuro governo della Striscia e sul destino della sua popolazione. La leadership palestinese appare ulteriormente frammentata, con un’Autorità Palestinese indebolita e una Hamas che, nonostante i colpi subiti, potrebbe mantenere un’influenza ideologica.

Per Israele: Il paese si confronta con una crisi di sicurezza e politica senza precedenti. L’attacco del 7 ottobre ha messo in discussione l’efficacia delle sue strategie di difesa e intelligence. A livello politico, il dibattito sul “giorno dopo” a Gaza è acceso e divisivo. La società israeliana è chiamata a fare i conti con un trauma profondo e con la necessità di riconsiderare il suo approccio al conflitto.

Scenario regionale e internazionale: La guerra ha avuto un impatto significativo sugli equilibri del Medio Oriente, rallentando il processo di normalizzazione delle relazioni tra Israele e alcuni paesi arabi. Il rischio di un allargamento del conflitto, che potrebbe coinvolgere direttamente l’Iran e i suoi alleati, rimane una preoccupazione costante per la comunità internazionale. A livello globale, il conflitto ha accentuato le divisioni, con un acceso dibattito pubblico e accuse incrociate di crimini di guerra.

Scenari futuri: tra incertezza e deboli speranze

Nel medio termine, si profilano diversi scenari, nessuno dei quali appare di facile attuazione:

  1. Conflitto a bassa intensità: Uno scenario probabile è la continuazione di un conflitto a bassa intensità, con Israele che mantiene il controllo della sicurezza su Gaza e sporadiche fiammate di violenza. Questo non risolverebbe le cause profonde del conflitto e manterrebbe alta la tensione.
  2. Amministrazione internazionale o araba per Gaza: Si discute della possibilità di un’amministrazione transitoria per Gaza, guidata da una coalizione di paesi arabi o sotto l’egida delle Nazioni Unite. Tuttavia, questo scenario presenta notevoli difficoltà politiche e logistiche.
  3. Il rilancio (difficile) di un processo politico: Nonostante la situazione attuale sembri precludere ogni dialogo, la diplomazia internazionale continua a insistere sulla necessità di una soluzione politica. La soluzione a due stati, sebbene oggi appaia più lontana che mai, rimane per molti l’unica via per una pace giusta e duratura. La sua realizzazione richiederebbe un cambiamento radicale nelle leadership di entrambe le parti e una forte e coesa pressione internazionale.

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